Rispolverando lontani ricordi: intervista a Nicolò Carnesi

Qualche giorno fa una persona ha fatto riaffiorare nella mia mente un’intervista a me tanto cara. E in questa notte insonne mi viene voglia di rileggerla in compagnia di Lucio Dalla. Era il 2013, al Teatro Coppola di Catania, in un sabato sera qualunque quando incontrai Nicolò Carnesi. Ero ancora una giornalista in erba. Pubblicai il pezzo per Outsiders Musica, webzine in cui scrivevo ai tempi. Il titolo citava un brano del cantautore palermitano, “In manicomio mi dicevano: la musica si spara in endovena ed io sporcavo le moquette degli alberghi a cinque stelle. Intervista a Nicolò Carnesi“. Ve la ripropongo in quest’ora tarda, che forse si assapora anche meglio. Buona lettura!

È un sabato pomeriggio, di quelli da scazzo dove devi pulire casa, non c’hai voglia e devi pure studiare. Ma improvvisamente ecco che rimembro “ma stasera c’è Carnesi al Coppola!”. A quel punto mi dedico ai miei doveri casalinghi, lieta che dopo saranno seguiti dai piaceri. Verso le sei esco di casa in fretta e furia perché, come sempre, sono in ritardo, la mia collega Vania mi aspetta.Con lei devo intervistare pure l’altro gruppo che stasera suonerà al Teatro Coppola insieme al Nostro (o meglio, è lui a suonare insieme a loro, ma io preferisco ricordare il contrario, m’invoglia di più ad assistere alla serata, senza voler togliere nulla a nessuno!).

Nicolò Carnesi, la nostra perla siciliana, dopo l’ep Ho poca fantasia, conferma le sue  straordinarie doti con l’album Gli eroi non escono il sabato, per Malintenti Dischi: un viaggio onirico e realisticamente contemporaneo, a tratti ironico, undici tracce che schizzano il ritratto di una generazione un po’ stereotipata ( “e non vantiamoci di frasi scritte sulla moleskine di ritorno dall’ ennesima vacanza a Parigi, tutti poeti , tutti scrittori, tutti profeti e tutti bohémien”, recita Moleskine).  Le influenze sono tante, molte estere, dai Cure a Morrissey, ma Nicolò riesce a plasmare uno stile estremamente personale, che non rischia nemmeno per sbaglio di scadere nel già sentito. Lontanissimo dagli odierni gruppetti della cosiddetta sfera “indie”, l’ennesima attestazione che questa Terra riesce a sfornare dei veri autori. Lui giovanissimo, fa strano pensare che sia un mio coetaneo. Ricorda il Battiato più sperimentale. Capace di spiccare anche tra i big della musica, un ragazzo che ha veramente qualcosa da trasmettere perché , come asserisce lui stesso, “non bastano i problemi per scrivere canzoni“. Testi e musica adattabili a qualsiasi situazione, il mio stato d’animo è sempre reattivo ai pezzi, anche quello di adesso che scrivo, sintetizzabile in: “ricordami quei giorni in aeroporto…trasmettimi parole di speranza, trasmettimi un segnale positivo, trasmettimi la voglia di cambiare e dimmi che infondo non è vero che non c’è più niente da dire, più niente da amare, più niente da inventare e mi pietrifico…portami via con te( Medusa).  Acustico ed elettronico, sonorità eighties ( Ho poca fantasia), folk-pop, new wave ed innesti british pop. Il suo, uno stato mentale in cui rifugiarsi. La sua, una voce armoniosa e soave. Le partenze, gli addii, le parole ridotte al silenzio, narrazioni di perdizioni, un vero viaggio tra esperienze, tra i luoghi oscuri del nostro pianoforte cerebrale da cui a volte salta qualche tasto. Un disco da ascoltare in loop, raffinato ed elegante, siciliano ma internazionale, che viaggia dalla Francia ai luoghi esotici, un treno che scorre, a tratti lento, a tratti veloce, intriso di paradisi perduti come Mi sono perso a Zanzibar, con Brunori Sas. Ogniqualvolta lo si ascolta è sempre la prima, beh sapete tipo Ciaula scopre la luna? Ecco, così! Un cantautorato già maturo non appena nato. Devo necessariamente dire che ha stravinto la summa Carnesiana “levati di dosso infine me che non so se l’hai capito che non sono così fico“, che troviamo nella coda finale del brano Levati (frase che personalmente ho già adottato in varie situazioni!). Appicciando una sigaretta, mentre lui sbircia la mia agenda esclamando “mii quante domande! Sono facili almeno!?”, inizia il dialogo, dall’ alto della sua statura (credo di essere io troppo bassa!).

Nei tuoi testi troviamo sempre questo riferimento, anche un po’ onirico, al viaggio e alla fuga: ma dov’è che vuoi andare, da cosa vuoi scappare?

Questo è quello che mi piacerebbe sapere, ho scritto queste cose per avere delle risposte da chi ascolta, ma purtroppo ancora non ne sono arrivate, lo sto scoprendo, tanto che ora farò altri viaggi ancora più lontani, magari su altre galassie. In realtà in me c’è sempre stata una voglia di fuga che può essere ambivalente: fisica, in cui penso che voglio lasciare il posto dove sto per scoprirne altri, o mentale, semplicemente una fuga da un modo di essere, da un sentimento o da qualsiasi altra cosa. È  per questo che tendo spesso ad usare quel termine che ha molteplici aspetti.

Come è nata la collaborazione con Brunori?

È nata in maniera particolare: ci ritrovammo ad un festival ad Enna, io raccontavo che stavo lavorando a questo disco e che in quella canzone avevo bisogno di una seconda voce, che rappresentasse un po’ il ‘me adulto’. Brunori sembra un po’ anziano, più vecchio di quello che è (ride), spesso ci prendiamo in giro a vicenda per questa cosa. Quella sera avevo perso le chiavi, grazie al suo aiuto le ho ritrovate e fra una birra e l’altra è nata la collaborazione, che è riuscita bene. In seguito abbiamo suonato spesso insieme, facendo anche altre canzoni dal vivo. Più o meno succede sempre così, ci si fa simpatia.

Mi ha colpito molto la ballata Sophie: ti va di raccontarci la storia di questo pezzo?

In realtà non è mai uscito, l’ho scritto qualche anno fa, prima dell’attuale  disco. Mi è capitato di avere questo teatro a disposizione con Vincenzo Parisi, un mio amico pianista, e con un bel pianoforte abbiamo registrato la canzone. – Posso dirti un odore che mi ha ispirato nella composizione, quell’ odore tipico che c’è ad inizio settembre, a cavallo tra l’estate e l’autunno, in cui arriva la prima pioggia e l’asfalto profuma in particolar modo – da quella frase “le piace l’asfalto bagnato” ho inventato questa fantomatica Sophie, rubando un po’ il nome a mia sorella che si chiama Sofia e trasformandolo in francese perché suonava meglio. Non è una canzone autobiografica.

Dato che sei siciliano anche tu e la cosa ti coinvolge quindi in prima persona, se ti va di rispondere, cosa ne pensi del fatto che a Battiato sia stato revocato l’incarico di assessore?

Penso che viviamo in un paese abbastanza ipocrita. Io ammiro molto Battiato a livello artistico. Quando una persona libera entra in un sistema fatto di doppi giochi e ipocrisia è difficile sopravvivere. Perché lo sappiamo tutti che ci sono delle tipe in parlamento poco raccomandabili, Grillo lo grida ai quattro venti e ha il 25 %, Battiato lo dice ad una conferenza e viene linciato. Quindi forse per lui è stato anche meglio uscire da questo sistema, c’ha provato, è esageratamente libero forse per entrare in una dinamica politica, come quella italiana soprattutto, piena di paradossi e ipocrisie. Se Berlusconi fa la battuta con la tizia passa inosservato, purtroppo questo è il paese, così vanno le cose, non c’è molto da arrabbiarsi. Abbiamo perso un’occasione, non sappiamo quello che poteva fare, ma quando il sistema dall’ interno non funziona non si possono fare miracoli. Protestiamo, cantiamo, reagiamo in qualche maniera, l’importante è che siamo consapevoli di quello che vogliamo e di quello che facciamo, al di là dei giochi di potere, a cui non dovremmo proprio interessarci, perché è proprio l’attenzione che diamo a dargli potere.

Cosa significa per te fare il cantautore, quando hai capito che la musica era la tua strada?

Di base ho sempre avuto una passione per la musica, quasi innata. Ho suonato in vari gruppi, da adolescente è chiaro che ti cimenti con tutti gli strumenti. Ho iniziato a scrivere al liceo, pezzi in inglese, un inglese pessimo tra l’altro, perché ancora ero esageratamente timido e non avevo voglia che la gente capisse quello che dicevo. Ho fatto varie cose, dall’ elettronica a cose più cantautorali, ho cercato un po’ di unire questi due mondi, la musica britannica, le chitarrine wave e i sintetizzatori con un approccio cantautorale italiano. La mia vita ha subito un po’ di cambiamenti.

A proposito dei pezzi in inglese, si può sapere qual è questo primo pezzo in inglese che hai scritto?

In realtà non esiste, sarà in qualche hard disk impolverato, non ricordo nemmeno il titolo, forse non ce l’aveva. Sono cose che scrivi così: parliamo di me quindicenne che scrivo e suono con la tastierina, non sono mai state registrate in studio, non esistono. Non credo si sentiranno mai, nemmeno voglio che questo succeda!

C’è qualche pezzo che ti rappresenta di più?

In generale sono affezionato a tutti i miei pezzi. Ti posso dire cosa mi sarebbe piaciuto scrivere della canzone italiana: “Cara” di Lucio Dalla, per come racconta l’amore.

Per quanto riguarda il titolo dell’album Gli eroi non escono il sabato, da cosa deriva la scelta ?

Perché volevo che mi chiedessero il perché proprio per non dirlo!

Tu sei un tipo da sabato sera!?

Io esco il sabato. Che giorno è oggi!? E dove siamo? Fuori! Sicuramente c’è un’ironia di base che mi divertiva e poi secondo me riesce a riassumere per certi versi  alcuni temi del disco, dato che il sabato e gli eroi sono spesso citati nei testi, molte storie si svolgono anche fuori, al centro di Palermo. Se mi va di uscire il sabato lo faccio, altrimenti no, l’importante è essere liberi in queste scelte. Non è che se è il trentuno di dicembre tu devi per forza festeggiare il capodanno, il sabato è un po’ la stessa cosa. È solo una metafora,non ti sentire obbligato dal conformismo, fai ciò che vuoi, magari preferibilmente lo fai pure bene. Il titolo è solo per ridere, diciamo la verità, non va preso con  serietà, o anche sì ogni tanto.

“Il centro di Palermo non offre mai di meglio”…

Abitando in una città ogni tanto ti capita che pensi che non c’è niente da fare, il giorno in cui ho scritto Levati, mi sentivo così.

C’è qualche collaborazione che ti piacerebbe fare che non hai ancora fatto?

Mi piacerebbe sicuramente lavorare con Battiato, o se dobbiamo puntare ancora più in alto facciamo Morrisey, Robert Smith, o Damon Albarn. Ce ne sono tanti ma secondo me è abbastanza difficile.

Anche perché le influenze nella tua musica sono quelle: Smiths, Cure, anche Coldplay…

Sì sì sicuramente quello c’è, così come Beck, il folk americano, Jonny Cash e l’elettronica. Ho cercato un po’ di unire tutte queste cose. Uno dei miei gruppi preferiti sono i Radiohead, magari non si sente, ma quando ascolti qualcosa lo metabolizzi e poi lo metti, anche involontariamente, e diventa un miscuglio che poi si spera diventi il tuo stile. Ognuno di noi ha un’impronta digitale in quello che fa, come tu nella tua intervista avrai la tua impronta, io nella mia canzone avrò la mia e questo non è solo merito della nostra persona ma anche dell’esterno che ci ha mandato impulsi e non li abbiamo riciclati.

Progetti futuri?

Ho finito il tour e sto scrivendo le canzoni nuove per l’eventuale prossimo disco che si spera possa uscire. Quindi sto a casa, isolato, ogni tanto esco il sabato! 

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